Di Santo Prontera
Questa Europa, quindi, come ribadito più volte, non è democratica, bensì oligarchica. È frutto del successo malsano che ha avuto la reazione al trentennio democratico. Quel periodo era caratterizzato da politiche elaborate dallo Stato democratico e finalizzate alla crescita, alla piena occupazione, al benessere diffuso, allo Stato sociale. Tutti obiettivi raggiunti. Poi sulla società si è abbattuta una reazione di proporzioni colossali. A quel periodo, infatti, ne è subentrato un altro di segno opposto (“I Trenta pietosi”), caratterizzato dal dominio assoluto del mercato, operante senza controlli, che implica l’estromissione dello Stato dalle decisioni economiche. La politica non è più “emersa” dalla società per la società, bensì dai grandi capitali per i grandi capitali. La società ne è uscita tramortita sia sotto l’aspetto economico sia sotto quello del funzionamento delle istituzioni. Le normali procedure democratiche sono state messe, infatti, sotto scacco e depotenziate (parlamenti indeboliti, leggi elettorali farlocche, dinamiche economico-politiche ostili alla società, …). Per poter funzionare, questo nuovo sistema, al servizio dei pochi e non dei più, ha dovuto sottomettere alle proprie esigenze anche il mondo dell’informazione. Una tale deformazione del sistema democratico non può reggersi, infatti, su un’opinione pubblica adeguatamente e correttamente informata.
I Trattati su cui si fonda l’Europa sono frutto diretto di questa grande reazione, scaturita dall’ordoliberalismo e dal neoliberismo, ideologie che alterano e deformano le regole dell’economia in funzione di una società elitista, in cui potere economico e potere politico stanno nelle stesse mani e i diritti della società sono programmaticamente conculcati.
Perché i popoli europei, inseguendo il sogno dell’unità, si ritrovano in questa Europa? Per due ragioni: l’aggressività dei poteri economici e l’autodissoluzione della sinistra.
La spiegazione di fondo è tuttavia la seconda, visto che la prima, da sola, non avrebbe potuto produrre la grande reazione neoliberista. La sinistra aveva infatti il potere per impedirla (partiti, sindacati, giornali, massiccia presenza nei parlamenti e nel mondo della cultura, …). La “grande reazione” è frutto di un innaturale connubio: della sinistra con l’ideologia dei poteri forti.
Come già detto e ribadito, alla radice dei problemi in cui siamo immersi c’è un dato di fatto che fino a qualche decennio fa era impensabile: la sinistra realizza politiche di destra. Sui temi economico-sociali, ormai è chiaro, la (ex) sinistra si comporta come la destra. Ciò è evidente anche in rapporto alla decisiva questione europea. Questa Europa, oligarchica e quindi non democratica, viene difesa a spada tratta dalla sinistra. È una difesa che si spiega proprio con la trasformazione della sinistra in una forza di destra.
Furio Colombo ha scritto che in Italia la sinistra <<si è sempre più travestita da destra, arrivando a spingere più in là di quel che le imprese volevano. Qui è accaduto un effetto collaterale che forse la sinistra non aveva calcolato: il suo popolo, sentendosi non più rappresentato, se n’è andato alla spicciolata, lasciando un largo spazio vuoto. […] Impossibile negare che la sinistra non c’è più, nel Paese in cui domina l’anelito di tagliare le pensioni e diminuire i salari>>.
Luca Ricolfi (in “Sinistra e Popolo”, 2017) dice che fino a qualche decennio fa <<esisteva una sinistra che faceva la sinistra e si rivolgeva al popolo>>. Ora, però, << in molti paesi avanzati i ceti popolari, spesso confinati nelle periferie delle città e nelle campagne, non votano più i partiti della sinistra riformista>>, i quali raccolgono <<soprattutto il voto dei ceti medi urbani>>. Si è verificato un <<divorzio fra sinistra riformista e popolo>>. Alla luce dei comportamenti assunti dalla sinistra, <<strano sarebbe che il popolo, ignorato, catechizzato, deriso dalla sinistra ufficiale, ostinatamente continuasse a votarla>>.
Quella che ama ancora definirsi “sinistra” ha abbandonato i propri temi, i propri argomenti. Spesso, per tornaconto elettorale o per altre ragioni aggiuntive, se ne appropriano frazioni della destra, che vincono con i voti che dovrebbero essere di sinistra. Un esempio: Trump. Ha vinto con il voto popolare sul tema dei posti di lavoro. La stessa cosa succede in casa nostra, in Italia e in Europa. <<Chi ha consegnato- dice Barbara Spinelli- il tema della sovranità popolare alle destre estreme? Le forze di sinistra classiche>>.
Una sinistra che ragiona con le categorie del neoliberismo (pensiero radicalmente antidemocratico, che postula ed ha come esito l’umanità duale: “il popolo dei signori” -vedi Domenico Losurdo: Controstoria del liberalismo- e quello dei serventi) non è una sinistra. Ragiona ed opera come la controparte. Non tutela –per esempio- il lavoro, ma lo aggredisce. Il centro-sinistra d’etichetta lo ha fatto con i propri governi all’epoca del “pacchetto Treu”, che ha autorizzato e diffuso il lavoro precario, e lo ha fatto ancora di recente, con l’abolizione dell’art. 18, un atto che riporta indietro la questione dei diritti del lavoro.
Nella difesa dell’Europa, di questa assurda costruzione istituzionale, la sinistra si trova in compagnia dei potentati economici, in special modo della grande finanza internazionale. Quanto viene detto e quanto viene taciuto circa l’Europa da parte della maggioranza dei mass media (in gran parte nelle mani del potere economico) o da una politica che in larga misura si è fatta portavoce di interessi estranei ai cittadini costituisce una massiccia operazione politico-culturale in difesa di posizioni che con la sinistra e la democrazia non hanno nulla a che vedere. In virtù della colonizzazione culturale della sinistra ad opera del pensiero neoliberista, chi critica questo modo di intendere l’integrazione europea sarebbe un antieuropeista. È vero invece il contrario. In termini di fatto, sono antieuropeisti, anti-italiani e antidemocratici coloro i quali orchestrano consapevolmente la difesa dell’attuale stato di cose, gabbando i cittadini.