L’esperienza della coalizione patriottica francese denominata La France Insoumise (“La Francia che non si sottomette”) costituisce un interessantissimo laboratorio politico a cui in tanti in Italia dovremmo guardare con grande interesse giacchè essa lancia anche a tutti noi un messaggio di forte pregnanza politica.
Tale messaggio, se correttamente inteso, potrebbe offrirci degli spunti decisivi per provare a condurre la sinistra italiana – o meglio, quel poco che di essa è ancora rimasto in piedi – fuori da una crisi di identità che viene da lontano e che oggi investe tutta la sua classe dirigente: una generale crisi di credibilità politica che pare avere ogni giorno di più un carattere strutturale e tendenzialmente irreversibile.
Tanto per cominciare, la credibilità di un leader politico e della classe dirigente che lo circonda non si forma di solito per via del fato o per opera della buona sorte ma è sempre il frutto di una lunga serie di scelte coerenti e tempestive che quel leader e quella classe dirigente sono stati in grado di compiere nel loro percorso politico. Quanto più tale percorso è in grado, per la sua linearità, di essere compreso dal popolo nonché di entrare in quella che Gramsci chiamava la “connessione sentimentale con le masse”, tanto più il leader alla guida di quel percorso acquisirà sostegno popolare per il suo disegno politico.
Tenendo a mente tali fondamentali princìpi, a Jean-Luc Mélenchon deve essere riconosciuto da tutti noi il merito di essere stato tra i primissimi leader della sinistra europea, accanto al tedesco Oskar Lafontaine, ad avere preso atto per tempo del processo irreversibile di crisi di credibilità politica del socialismo europeo e di avere agito tempestivamente di conseguenza.
Oggi è facile per tutti noi ricostruire il lungo processo di inquinamento ideologico del P.S.E., a partire dall’avvento del blairismo negli anni ’90 del secolo scorso per arrivare al rude “kapò” tedesco Martin Schultz: un processo di degrado contraddistinto dal generale appiattimento di quella famiglia politica europea sul pensiero unico dell’ideologia neo-liberista e dal suo sostegno acritico a tutte le più scellerate decisioni di austerità economica imposte dagli organismi della Troika sulla pelle dei popoli europei, ivi compreso il famigerato Fiscal Compact.
Jean-Luc Mélenchon è riuscito ad accumulare il suo capitale di credibilità politica perché prima di tanti altri in Europa ha preso atto di tale triste realtà e, senza perdere tempo, ha fatto le valigie ed ha abbandonato polemicamente la famiglia del socialismo europeo fin dall’anno 2008, allorquando si è dimesso dal Partito Socialista Francese (già allora egemonizzato dal liberista François Hollande) ed ha fondato un nuovo partito di chiara impronta anti-liberista, con cui già nelle elezioni europee del 2009 avrebbe dato vita alla sperimentazione di un cartello elettorale di ispirazione frontista, il Front de Gauche.
Quel che andrebbe compreso più a fondo del messaggio politico che l’esperienza di Mélenchon trasmette a noi qui in Italia è che il leader francese, una volta elaborato il trauma del divorzio dal vecchio Partito Socialista – di cui pure era stato un importante dirigente per tanti anni, militando nella componente di sinistra denominata Nuovo mondo – non ha più sprecato energie per provare illusoriamente a ricomporre un rapporto politico col P.S.F. e con la famiglia del socialismo europeo, che non era evidentemente più ricomponibile ed è andato dritto sulla sua strada, costruendo un ampio cartello politico-elettorale contraddistinto dal richiamo al vecchio spirito patriottico francese e con un programma di netta opposizione ai Trattati U.E.: la credibilità del percorso politico personale di Jean-Luc Mélenchon e del programma della coalizione de La France Insoumise è stata successivamente suggellata dall’ottimo risultato del primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso 23 aprile, allorquando lo stesso Mélenchon ha ottenuto quasi il 20% dei voti, sfiorando l’accesso al secondo turno di ballottaggio.
Studiando con attenzione l’esperienza dei nostri cugini francesi, da cui spesso nella storia abbiamo dovuto prendere esempio, si scopre che per Mélenchon ottenere il consenso di quasi un quinto degli elettori votanti è stato il premio ad un suo percorso politico coraggioso e coerente, contraddistinto in primo luogo dalla sua battaglia in prima linea contro i piani austeritari della Troika, una battaglia intrapresa ancor prima che tali piani iniziassero a prendere di mira direttamente il popolo francese.
E così, mentre qui in Italia l’approvazione del JOBS ACT è passata quasi sotto silenzio grazie al complice (ancorchè implicito) avallo della CGIL e grazie alla sostanziale inazione politica dei partiti e partitini che ancora compongono il ristretto arcipelago della sinistra, i lavoratori ed i giovani precari francesi hanno trovato nella Gauche anti-liberista di Mélenchon un saldo e sicuro punto di riferimento nei giorni della grande protesta sociale contro l’approvazione della nuova Loi du Travaille (l’equivalente francese del JOBS ACT).
E sulle questioni internazionali, mentre le sinistre italiane ogni giorno fanno a gara su chi tra esse debba apparire più compiacente e passiva nel sostenere l’agenda politica euro-atlantista, specie per quanto attiene al deterioramento dei rapporti con la Russia di Putin, Mélenchon non ha avuto remore nel rivendicare più volte l’esigenza e l’interesse del popolo francese e dell’Europa intera nel favorire un clima di distensione e di rinnovato dialogo con la grande nazione eurasiatica che ci guarda da est.
Qui in Italia, con la nascita della Confederazione per la Liberazione Nazionale (C.L.N.), in tanti stiamo iniziando a lavorare alla costruzione di una coalizione patriottica ed anti-liberista che, anche prendendo spunto dall’esperienza francese de La France insoummise, ponga al centro del nostro programma politico la piena attuazione della nostra Costituzione del 1948 ed il ripudio dell’impianto ultra-liberista dei Trattati U.E. in cui è ingabbiato il nostro Paese.
E in una fase politica in cui tornano ad ascoltarsi, qui in Italia, i consueti appelli “alla ricomposizione della sinistra” dal carattere alquanto vago e identitario, a cui ricorrono da anni i gruppi dirigenti screditati di una sinistra auto-referenziale e distante dal popolo, specie quando sono mossi da una improvvisa frenesia elettoralistica, occorre chiarire che nessun generico richiamo ai valori della nostra carta costituzionale potrà essere sufficiente a comporre un serio programma politico-elettorale, in mancanza della presa d’atto della conclamata incompatibilità tra la nostra Magna Charta (fondata sulla centralità del lavoro e dei bisogni dell’uomo) ed i trattati ultra-liberisti della U.E. (fondati sulla libertà di circolazione incontrollata del capitale finanziario).
L’auspicio di tanti tra noi è che l’esempio francese della coalizione patriottica di Mélenchon, che conclude usualmente i suoi comizi intonando l’inno nazionale del suo Paese subito seguito dalle note de l’Internazionale, possa davvero fare scuola anche nel nostro Paese.
Senza una sana contaminazione delle idee giacobine francesi, in Italia in passato non avremmo avuto la rivoluzione partenopea del 1799 né l’epopea della Repubblica romana del 1849, esperienze entrambe antesignane ed anticipatrici della successiva e definitiva caduta del nostro Ancien Régime monarchico e papalino.
E se oggi in Italia vogliamo seriamente emulare il migliore spirito ribelle dei nostri cugini transalpini, bene incarnato dal combattivo Jean-Luc Mélenchon, è decisivo comprendere che il successo politico della coalizione patriottica de La France Insoumise non ha tratto spunto da alcun generico appello all’unità delle sinistre d’oltralpe ma, al contrario, si è poggiato su alcuni forti contenuti unificanti a carattere programmatico, quali il rifiuto dei trattati U.E. e la proposta di fuoriuscita della Francia dalla NATO.
Qui in Italia, soltanto chi saprà ancorare la propria azione politica ad un saldo riferimento a punti programmatici di evidente e tangibile credibilità – come ha fatto Mélenchon in Francia – potrà candidarsi a giocare un ruolo decisivo nelle fase politica che si delinea dinanzi ai nostri occhi nel futuro prossimo e imminente.
(Giuseppe Angiuli è stato responsabile Esteri Risorgimento Socialista fino alla fine del 2017)