I socialisti votano NO ma attenti al nuovo Ulivo

di ferdinando pastore

Dal Trattato di Maastricht alla riforma costituzionale di Renzi

Il dibattito sul Referendum Costituzionale assume un significato politico che va al di là di una mera modifica della Carta, per un serie di motivazioni che non possono essere relegate al solo aspetto tecnico di ingegneria giuridica, ma dovrebbero essere interpretate con motivazioni storiche ed economiche e con aspetti critici che vanno ben al di là dell’assetto istituzionale del nostro paese.
Difatti ciò che si persegue con la modifica costituzionale proposta è parte integrante di un disegno più ampio, che investe l’intero continente sin dal 1992, anno nel quale fu stipulato il Trattato di Maastricht, e che segna la linea di demarcazione tra i sistemi istituzionali nati nel dopoguerra, incentrati sul ruolo dello Stato quale regolatore e garante dello scontro tra capitale e lavoro e quello tecnocratico-finanziario, nel quale, progressivamente, lo stesso Stato è stato svuotato di capacità decisionale per essere trasformato nel “guardiano” del libero mercato, senza autonomia di spesa ed attuatore meccanico delle direttive imposte dalle strutture sovra-nazionali, tutte incentrate sulla stabilità dei prezzi, sulla svalutazione del lavoro e sulla dismissione del patrimonio pubblico.
Ebbene ciò che è stato progettato dal 1992 aveva un duplice scopo, l’immiserimento del ruolo dello Stato e il reinserimento del lavoro all’interno di logiche ispirate alla contrattazione privata. Se in un primo momento è stato necessario abbattere la classe politica ancora legata alla struttura sociale venutasi a creare nel dopoguerra in una seconda fase è stato necessario depotenziare le Costituzioni sorte in quel periodo storico, le quali permisero la nascita di quelle che sono state definite da Robert Castel le “società salariali”, dove si poté cementificare, nonostante tutte le contraddizioni poste dal capitalismo industriale e dal consumo di massa, quel modello sociale europeo di protezione dei cittadini, che fu il vero tratto caratteristico del vecchio continente, come modello di sviluppo alternativo rispetto a quello dei blocchi contrapposti, la vera “terza via” di ispirazione social-democratica.
Fu dunque il Costituzionalismo moderno che impresse una svolta epocale alle nazioni, elemento questo del tutto dimenticato quando si fa riferimento ad esse. La classe politica uscita dal dopoguerra, difatti, era memore della genesi del fascismo internazionale e identificava lo sviluppo economico dei primi decenni del 900, universale e liberista, come il presupposto logico che portò alla crisi del ‘29 e alle condizioni politiche che assecondarono la genesi della seconda guerra mondiale.

Anche le costituzioni di quel periodo si limitavano ad enunciare principi assoluti di carattere generale, secondo la teoria pura del diritto delineata da Kelsen, attraverso i quali si sottintendeva delineare una società omogenea e composta da eguali, tutti rappresentanti dei medesimi bisogni.
Con il costituzionalismo moderno del dopoguerra, al contrario, si manifestava la necessità di rappresentare lo scontro di classe come elemento costituivo della società, nella quale il conflitto non era più nascosto (non era più una società di eguali) ma legittimante l’azione dello Stato. Se l’ordinamento normativistico Kelseniano nascondeva, per le esigenze del liberalismo borghese, il conflitto, il costituzionalismo moderno lo rendeva principio ordinatore e poneva lo Stato quale garante di quello scontro. La Costituzione italiana del ‘48 ne fu paradigma essenziale. Pensiamo all’art. 3 II comma sull’eguaglianza sostanziale o all’art. 41 sulla libera iniziativa economica. Lo Stato si dava compiti per regolare e assumere il conflitto come tratto saliente della società e come fattore di sviluppo e di giustizia sociale.
Con l’avvento della rivoluzione neo-liberista degli anni ’80 e la successiva deflagrazione del blocco sovietico si fece strada un nuovo senso comune, una prospettiva di rielaborazione del libero mercato in chiave globalizzata. Tutto ciò che ancora tentava di rappresentare una società solida, ideologizzata, ancorata a sistemi esistenziali basati sulla sicurezza fu presentato come inutile per il progresso favorito dalle nuove tecnologie. La grande finanza e le multinazionali iniziavano a spingere per riformare gli Stati e per modificare la costruzione istituzionale degli stessi. L’obiettivo era quello di imporre una dimensione univoca per ciò che attiene alle decisioni che non avrebbero più potuto avere una legittimazione politica o ideologica ma che si dovevano adeguare alle esigenze dell’economia globale.

Il Capitale finanziario contro lo Stato borghese

L’attacco fu costruito proprio al cuore dello Stato, nel momento in cui si metteva in discussione la legittimazione dello stesso a decidere. Si chiedevano meno sprechi, più efficienza, ed anche l’essere umano si doveva adeguare a questo nuovo modo di intendere la società. Non più comunità con scopi politici, non più classi sociali, bensì individui che regolano i loro rapporti in base ad interessi egoistici. Da un lato si attaccava la spesa pubblica dall’altro si promuoveva una dimensione esistenziale basata sull’essere imprenditori di se stessi. Lo Stato perdeva la propria legittimità ed i governi, adeguandosi, si affrettavano a cedere sovranità nelle mani di strutture tecnocratiche e sovranazionali, ispirate a principi antitetici rispetto a quelli scritti nelle costituzioni del dopoguerra.

Progressivamente la funzione politica ha perso senso, i partiti non hanno avuto più alcun interesse a rappresentare il luogo in cui si formava il dibattito sulla libera circolazione delle idee e le stesse costituzioni sono diventate un guscio vuoto. I fini della politica sono diventati aprioristici e si è presentata al mondo una nuova èlite sostanzialmente anti-borghese. La decisione, difatti, non poteva essere ostacolata dagli strumenti borghesi che edificarono le democrazie moderne, soprattutto quando si fa riferimento agli strumenti parlamentari che incarnavano la funzione di controllo che la società civile operava nei confronti del Sovrano.

Oggi i nuovi Sovrani, identificabili con gli operatori economico-finanziari, si presentano come anti-statali (in una strana e sospetta condivisione di scopi con certa sinistra libertaria ed individualista nata nel 1968 e sviluppatasi negli anni ‘70) e dirigono la decisione su un piano tecnico escludendola dal terreno della responsabilità politica.

Si assiste ad una progressiva de-politicizzazione della società e si riduce la competizione ad una finta contrapposizione tra destra e sinistra che non intacca i confini ideologici del neo-liberismo. Si attua quello che qualcuno ha definito il “Governo per inerzia”, dove i partiti, pur mantenendo in vita le proprie strutture burocratiche, si adeguano al sostanziale disinteresse dei cittadini trasformati in consumatori, per trasformare la competizione in mero spettacolo “ordinato” dai sondaggi e dalle agenzie di marketing ed affrontano una perenne campagna elettorale per poi non decidere nulla.

Tutti i governi che si sono succeduti dal 1992 ad oggi in poi hanno, progressivamente, passo dopo passo, disattivato i principi che reggevano gli impianti costituzionali cominciando dalle riforme elettorali che hanno svuotato di contenuto le forme assembleari e di conseguenza eliminato la funzione ideologica dei partiti.

La concentrazione sugli esecutivi ha avuto una duplice funzione, la prima è stata quella di impedire, appunto ai partiti, qualsiasi elaborazione critica nei confronti dello stato di necessità imposto dai conti pubblici, posti, dalla nuova vulgata mediatica, in stato perenne di accusa (in Italia sin dal governo Amato) con conseguente imposizione di un modello unico di azione che ha eliminato la possibilità di attuare investimenti pubblici assecondando i dettami ordo-liberisti (in questo senso è utile ricordare le parole profetiche di Federico Caffè sull’attacco alla spesa pubblica effettuato dal PCI). La seconda funzione è stata quella di poter attuare senza disturbi la modifica degli impianti sociali delle nazioni europee le quali si sono dovute attenere ai diktat della nascente UE che è stata edificata con scopi meramente mercantilistici e finanziari incentrati sulla libera circolazione dei capitali, sin dalle sue origini.
Così le riforme continue nel mondo del lavoro sono state presentate come una necessità, addirittura richiesta dagli stessi lavoratori, stanchi della vecchia routine delle società salariali e così le privatizzazioni, che in Italia sono state attuate con vere e proprie svendite del patrimonio pubblico, sono diventate l’unica via percorribile in una condivisione di viaggio tra chi si presentava a destra come a sinistra in un’artificiosa competizione politica.

Lo stato d’eccezione, presentato come ineluttabilità economica, ha rappresentato il grimaldello per il superamento delle Costituzioni seppur mantenute formalmente in vita. Si è fatta strada, in questo modo, l’idea che le stesse Costituzioni fossero lacunose per rispondere alle esigenze della globalizzazione e che fosse necessaria, appunto, una loro sospensione.

La nuova classe globale

Ma il motivo più profondo dei mutamenti istituzionali avvenuti negli ultimi vent’anni si può scorgere nell’assimilazione, da parte delle forze politiche, dei desiderata della nuova classe dominante globale, la quale si differenziava da quella precedente fondata sull’industria e sulla necessità del lavoro.

La nuova classe globale, al contrario, si presentava come una moderna aristocrazia, la quale poteva andare avanti senza il lavoro di altri, operando un sostanziale scollegamento tra capitale e lavoro, ed aveva la necessità di abbattere frontiere e confini, al fine di immiserire le funzioni degli Stati e la loro legittimazione decisionale.

Tutto questo è stato non solo assimilato ma anche palesemente teorizzato, soprattutto nella nuova sinistra degli anni 90, identificabile con il New Labour di Tony Blair o con le teorie sulla nuova e globale Open Society di Giddens e Beck, così come descritto anche da un liberale qual è stato Ralf Dahrendorf : “i neodemocratici di Clinton ed il New Labour di Blair sono in realtà l’espressione perfetta degli interessi della classe globale. Contribuisce ad alzare l’attrattiva di questa posizione il fatto che essa ha reso i partiti degli ultimi arrivati la base di sostegno di un nuovo gruppo dominante“.
Di fatto la modifica proposta dal Governo Renzi alla Costituzione repubblicana è in linea di continuità con il percorso politico, istituzionale e sociale che si perpetua, uguale a se stesso, dal 1992 in poi. La parola d’ordine è sempre la medesima: modernizzazione; ma essa nasconde velleità autoritarie in linea con il superamento della forma democratica già designata dal funzionamento dell’Unione Europea.

Affievolire il parlamento ed indicare in maniera palese una sorta di superiorità gerarchica dei trattati internazionali servirà ad abbattere i principi, ormai solo enunciati in maniera formale, contenuti nella prima parte della Carta.

Il NO dunque rimane un ultimo baluardo per impedire che escano del tutto dalla coscienza collettiva quei principi di solidarietà sociale non ispirati a mere logiche mercantilistiche, oggi presentate, appunto, come soluzioni aprioristiche.

LE CONTRADDIZIONI DEL NO

Ma dentro il fronte del NO appaiono evidenti alcune contraddizioni che è bene affrontare da subito e non lasciarle come argomento post-referendario nel nome di un pragmatismo politico che non serve se non per ricadere nelle trappole di vecchi strateghi che hanno contribuito allo sfaldamento del nostro sistema istituzionale.
Nel percorso appena descritto che ha portato alla proposta di modifica della Costituzione appare del tutto evidente, infatti, il silenzio perpetuato per anni da parte di eminenti costituzionalisti, oggi impegnati nel fronte del NO. Il silenzio riguarda l’assoluta incompatibilità tra i trattati internazionali e la nostra costituzione che ha, di fatto, annientato l’efficacia della stessa. Se, infatti, la nostra Costituzione ha rappresentato uno dei modelli più efficaci di rappresentazione di quello che è stato definito “capitalismo regolato”, nel quale lo Stato assicurava ai cittadini una vita dignitosa attraverso la protezione del lavoro, i trattati internazionali ispirati alla stabilità dei prezzi si presentavano con un modello di progresso del tutto antitetico rispetto ad essa.
L’esempio più calzante è stata la ricezione nel nostro ordinamento costituzionale del pareggio di bilancio attuata con la modifica dell’art. 81 che Vladimiro Giacché definisce correttamente un corpo estraneo. Il pareggio di bilancio impedisce che possano trovare attuazione molti degli articoli contenuti nella prima parte della Carta limitando il potere di spesa dello Stato (per esempio gli art. 1,3,4,35 e 37) ed inoltre impedisce che lo stesso Stato possa attuare politiche industriali che comportino investimenti pubblici contravvenendo alla formulazione dell’art. 41. Nel silenzio generale o quasi, è stata costituzionalizzata una visione neo-liberista dello Stato che ha reso carta straccia la nostra Costituzione. Dov’erano i nostri autorevoli costituzionalisti?
Ma esiste una contraddizione ancor più preoccupante all’interno del fronte del NO, rappresentata dalla presenza di forze politiche e di personalità che hanno contribuito, in maniera ancor più decisiva dello stesso Renzi, all’edificazione del modello unico neo-liberista che in Italia fu rappresentato in maniera pervicace dall’esperienza politica dell’Ulivo e del centro-sinistra in generale. Fu proprio l’Ulivo, non solo a far digerire le prime riforme sul lavoro al Paese, attuando le prime concessioni alla precarizzazione dello stesso, non solo a svendere, con le privatizzazioni degli anni ‘90, il patrimonio pubblico, ma soprattutto a presentare l’Europa come ideale salvifico che avrebbe espiato le nostre colpe di italiani, privilegiati dall’assistenzialismo ed irresponsabili nel continuare a volerlo, e consegnando il Paese ad una crisi che appare ormai irreversibile nel momento in cui si è rinunciato alla sovranità politica e monetaria.
La funzione anestetizzante e di promozione del pensiero unico dell’Ulivo e del centro-sinistra è ancor più evidente qualora si pensi al fatto che proprio l’Ulivo pose al centro della sua azione il tema della governabilità, affidata principalmente a governi tecnici che trovarono la propria legittimazione non nel rapporto di sovranità popolare, bensì nel rapporto con le autorità tecnocratiche e finanziarie della UE, trasferendo anche in Italia l’idea che la funzione politica potesse essere sostituita da una burocrazia composta da grigi sacerdoti del libero mercato. L’apoteosi di questo schema è stato raggiunto nel 2011 nel momento in cui Giorgio Napolitano, con l’avallo di tutto il centro-sinistra e del suo popolo festante, insediò, con un colpo di mano, Mario Monti alla presidenza del Consiglio, eseguendo pedissequamente i diktat delle strutture sovranazionali.
La versione tecnocratica di questa visione, che è la medesima di quella del Governo Renzi, poggia su basi ancora più pericolose nel momento in cui recepisce fedelmente un modello slegato dalle forme democratiche e d’ispirazione assolutistica, nel momento in cui presenterebbe ogni decisione come necessaria ed inevitabile. Non a caso ed a sorpresa lo stesso Mario Monti si è dichiarato a favore del NO nella contesa referendaria, come se esistesse una regia per gestire il dopo vittoria del NO in linea di continuità con l’assetto di potere configuratosi dal 1992 in poi, regia ancora nelle mani dell’ex Presidente Giorgio Napolitano.
Questo scenario è da rifiutare in toto a sinistra, sinistra che purtroppo appare ancora ambigua su questi temi nel momento in cui una parte di essa ancora fa riferimento al rapporto organico con il PD per meri interessi di piccola bottega che si manifestano soprattutto a livello locale.
La chiarezza su questo tema all’interno del fronte del NO appare condizione imprescindibile per la ricostruzione della sinistra, tema da non posticipare al dopo-referendum, se non si vuole ricadere nella trappola di un PD solo apparentemente diverso da quello Renziano e di quella sinistra libertaria e concentrata su fantomatici diritti civili, perfettamente omologata al Potere finanziario e che ha rinunciato, consapevolmente, alla difesa del territorio nazionale dove ancora sono presenti tutte le contraddizioni di classe e le diseguaglianze sociali che il neo-liberismo vorrebbe tenere nascoste ma che riappaiono inesorabili come nel caso della Brexit o dell’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti.i socialisti votano NO al referendum costituzionale

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