ADESSO

Tra le cose più divertenti – ma anche più disgustose – che ci è stato dato di sentire all’indomani del voto britannico è stata l’accusa, mossa dai blairiani a Corbyn di non avere sostenuto a sufficienza il “remain”, così da contribuire alla sua sconfitta.

In sé l’accusa è ridicola. In primo luogo perché la vittoria del “leave”era nelle cose; e, paradossalmente, gli argomenti usati per impedirla non hanno fatto altro che favorirla.
Nello specifico, quelli usati dall’establishment del Labour, a partire dal suo gruppo parlamentare, consistevano in un europeismo senza se e senza ma ( alla Napolitano, per intenderci), tale da non fare minimamente breccia sul suo elettorato tradizionale, colpito e travolto dalla globalizzazione. In quanto allo stesso Corbyn la sua campagna è stata di una elementare onestà: “l’Europa è quella che è ma rimane il luogo dove si combatterà in futuro la battaglia politica” ( più o meno quello che diceva Lombardi sessant’anni fa; dopo, purtroppo, abbiamo avuto l’Europa, ma non la battaglia politica…).
Ma non è il caso di insistere oltre; perché la destra, assolutamente prevalente nel gruppo parlamentare vuole comunque sbarazzarsi di Corbyn a costo di provocare una scissione, a questo punto inevitabile. E’ il 1931 che si ripete: a sinistra il partito e la sua gente; gli altri in una terra di nessuno governata da un partito conservatore, ricompattatosi su di una linea sovranista in materia economica come sull’immigrazione.
E’ il primo e più evidente segno di una frattura destinata a verificarsi, in maniera più o meno marcata, in tutta l’Europa occidentale ( ad Est i socialisti o sono scomparsi o si sono più o meno fortemente “sovranizzati”; direi anche troppo…).
In Francia, il sogno ulivista di Hollande ( governare a destra ma con accenti e sostegni di sinistra) è svanito come neve al sole: ridotta quasi a zero la possibilità di un qualche soccorso rosso al secondo turno, a pezzi il gruppo parlamentare, in atto la scissione della componente “liberal-liberista ( che avrà un suo candidato alle prossime presidenziali). Un campo di rovine: con la quasi certezza di non essere presenti al secondo turno la prossima primavera; e, conseguentemente, di dover confluire, praticamente senza contropartite, sul candidato della destra.
Due punti di forza che scompaiono, almeno nel presente. Né mancano altri casi pietosi: dall’Austria all’Olanda ( dove, nei sondaggi, il PvdA è al crollo).
Altrove, un ulteriore declino: dalla Scandinavia ( dove pesa come un macigno il problema di un’immigrazione fuori controllo ) alla Germania ( dove il partito patisce in modo crescente il suo ruolo di partner subalterno), nell’area mediterranea, all’interno di situazioni molto diverse, problemi di leadership e di linea politica tutt’altro che risolti, sino alla assoluta singolarità italiana: un partito di sinistra a servizio di una linea e di una leadership di destra.
Guardando all’insieme, il quadro politico che si va formando, almeno nei paesi maggior sarà segnato dalla contrapposizione tra
governi dominati dal centro-destra e opposizioni dominate da movimenti sovranisti di varia qualità e natura.
Che fare, allora ? Il rischio è che il dibattito interno al mondo socialista sia dominato da questioni di schieramento insieme sterili e divisive.
Sarebbe meglio, allora, interrogarci su noi stessi. Sulle ragioni che ci hanno portato dal punto alto, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, quando, sotto Mitterrand e Brandt, Kreisky e Palme, Papandreu e Gonzales, progettavamo di “cambiare la vita”e di costruire un nuovo ordine internazionale ( raggiungendo così il livello più alto di consenso ) e la situazione attuale, dove siamo ai livelli più bassi dal dopoguerra in poi.
Forse tutto ciò a che fare non con i sogni di allora ma con le nostre illusioni successive: pensavamo, con I Blair, i Jospin e gli Schroeder, di potere costruire un nuovo compromesso con il capitalismo globalizzato- a loro la libertà di crescere in tutta libertà, a noi di distribuire gli utili dello sviluppo e tutti insieme a sviluppare la democrazia nel mondo- e abbiamo totalmente fallito.
A distruggerci è stata, certo, la crisi economica e l’immigrazione incontrollata: ma non abbiamo saputo governare né l’una né l’altra.
E, allora, una revisione profonda è all’ordine del giorno: aggiornare i nostri strumenti di conoscenza e di intervento a partire dai nostri principi.
Un campo di rovine, ma anche un campo aperto.

Alberto Benzoni

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