Premessa
“Presupposto imprescindibile per Oskar Lafontaine è il ritorno a un sistema monetario europeo migliorato, che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione.” Vorrei con questo mio intervento esporre le ragioni del mio dissenso sul “presupposto imprescindibile” del compagno Lafontaine.
1° ragione
Non voglio difendere l’euro per sé. Anch’io come molti altri ritengo che l’euro sia come la costruzione di un edificio partita dal tetto anziché dalle fondamenta. Quello che difendo è la ricerca di una soluzione ad una Europa scalcinata e perigliosa con soluzioni semplicistiche e ritenute di per sé risolutive quando invece non lo sono, almeno a mio parere, per nulla e potrebbero invece essere catastrofiche.
Uscire dall’euro è per me una opzione che nasconde una scelta di livello superiore cioè quella di abbandonare la lotta per la costruzione di un edificio Europeo che sia un’economia-continente così come lo sono le economie-continente degli USA, della Cina e della Russia (finchè la stessa non facesse parte di un’altra Europa).
Il compagno Angiuli sostiene che la mia proposta di trasformare l’attuale Europa in Stati Uniti d’Europa Socialista sia come voler andare sulla luna con la barca a vela. Io penso (come zia Rosina fino a qualche tempo fa) al contrario che una lotta di lunga lena, basata sulla consapevolezza del fallimento del modello liberista decisamente e definitivamente affossato dalla crisi del 2008, fallimento mai analizzato a fondo dalle forze politiche e soprattutto ignorato e considerato come un incidente di percorso in primis da Renzi ma da molti compagni che credono di poterne evitare il confronto tornando a soluzioni di fuga, dicevo una lotta di lunga lena, sulla strada indicata da Varoufakis, possa essere un serio tentativo di successo per riaffermare le ragioni dell’opzione europea.
2° ragione
“Il ritorno a un sistema monetario europeo che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione” altro non è che il ritorno alle monete nazionali ancorate ad un rapporto con un euro (non più circolante) con bande di oscillazione, tipo SME. Modello che non ha funzionato. Così come non ha funzionato (o almeno ha funzionato dal 1944 al 1971) il sistema di Bretton Woods che appunto ammetteva oscillazioni delle monete rispetto al dollaro, a sua volta legato all’oro.
La scelta delle bande di oscillazione è una scelta di tipo monetaristico, che ricerca cioè la soluzione agli squilibri tra i paesi nell’azione combinata di utilizzo delle riserve di oro o valute internazionali, e nella svalutazione della moneta locale.
Storicamente però la scelta della svalutazione ha prevalso sull’uso delle riserve che sarebbe stata, secondo il sistema Bretton Woods la “vera” soluzione, negata invece da quella perseguita dai paesi fino al crollo del sistema nell’agosto del 1971.
Ciò significa che un paese in difficoltà è restio a dar fondo alle proprie riserve (sistema Bretton Woods) preferendo infrangere il patto e ricercare una soluzione (effimera come spiegherò più avanti) nella svalutazione competitiva. Il modello si è dimostrato inefficace più volte e non si vede perché dovrebbe funzionare adesso. Peraltro il ricorso alle riserve è una punizione riparatoria che non può durare per sempre senza cambiare, nel reale, la competitività.
3° ragione
Ben diversa era l’idea di Keynes: una moneta di conto unica (il bancor) senza interessi e con interventi a favore di chi era in disequilibrio negativo ma anche penalizzazioni per chi era cronicamente in disequilibrio attivo. Come gli Stati Uniti non accettarono a suo tempo la penalizzazione di chi fosse cronicamente esportatore (cosa che nei primi anni gli USA furono ma poi, dopo il Viet Nam cessarono di essere) oggi la Germania non accetterebbe mai tale penalizzazione, anche se prevista nei trattati di Maastricht.
Keynes (rispetto al quale io andrei oltre) aveva però congegnato con le sue proposte un sistema che evitasse gli squilibri mondiali molto più efficiente delle bande di oscillazione del sistema imposto dai vincenti Stati Uniti d’America.
Alla proposta Lafontaine preferisco di gran lunga l’idea del bancor di Keynes.
4° ragione
La svalutazione lascia al meccanismo del mercato il rimedio allo squilibrio. Ma non è una soluzione efficace né duratura. Con la svalutazione non si fa altro che abbattere il costo del lavoro scaricando tutto l’onere sul potere d’acquisto dei lavoratori, presentandosi poi così sul mercato internazionale a costi più bassi ma a produttività immutata. Si conquista temporaneamente una competitività non grazie all’aumento della produttività, ma grazie alla svalutazione dei salari. Anzi, e questo è il peggio, rendendo più basso il costo del lavoro, di smorza la spinta ad investire in produttività potendo ricorrere a mano d’opera a basso costo. Si perpetua così la subalternità schumpeteriana preludendo a nuove svalutazioni non appena si aumentasse il livello tecnologico della produzione.
5° ragione
Negli ultimi mesi l’euro è passato da 1,40 sul dollaro a 1,08. Abbiamo svalutato del 40% e non abbiamo risolto alcun problema. Gli USA hanno stampato tonnellate di dollari costringendo la Cina ad abbandonare la difesa insensata del cambio del reninmbi con il dollaro. Svaluta il dollaro, svaluta l’euro, svaluta il reninmbi e la chiamano rimedio agli squilibri. La rincorsa delle svalutazioni prima o poi porta al conflitto. Non c’è alternativa. Ricorrere alla svalutazione competitiva come rimedio alla inferiorità competitiva è una droga malefica, un marchingegno di corto respiro dai preoccupanti risvolti globali.
6° ragione
Quando entrammo nell’euro, D’Alema disse che ciò non significava aver vinto l’incontro ma significava soltanto essere ammessi a salire sul ring. E sul ring siamo saliti ma stiamo clamorosamente perdendo ai punti. Abbiamo rischiato il KO ma Draghi ci ha salvato con il gong. Scrive Paolo Bricco sul Sole 24 ore di mercoledì 30 dicembre: “A terra o in piedi. La competizione globale è un match di boxe, reso più cattivo da sette anni di recessione violenta. Il 2016 per la nostra economia, sarà il round più duro. In palio, una ritrovata centralità o una definitiva marginalizzazione negli equilibri della manifattura internazionale”. I disequilibri si combattono con mutamenti nell’economia reale e non con marchingegni monetaristi, quali la banda di oscillazione proposta da Lafontaine. La nostra produttività ferma a zero da 20 anni o riparte o finiremo emarginati, con gli 80 euro, la riduzione dell’IRES, la cancellazione della TASI ma stretti nell’angolo a rischio di uppercut finale.
7° ragione
Negli Stati Uniti i disequilibri si combattono trasferendo agli stati più deboli imposte prelevate ai paesi più forti e con investimenti selettivi atti a far convergere i fondamentali dell’economia reale. In Europa i fondi strutturali che dovrebbero servire allo stesso scopo, allo scopo cioè di far convergere i fondamentali dell’economia reale, sono parzialmente non utilizzati da noi e troppo spesso quelli utilizzati sono serviti per obiettivi elettoralistici non incidenti sull’economia locale. Cambiare il trattato: ecco quello che serve. Oltre a sostituire l’attuale direttorio europeo (germanocentrico) occorre dare al parlamento e al governo parlamentare europeo un ruolo programmatorio con lo scopo di ridurre (prendo lo spunto da Antonino Galloni) il differenziale tra PIL EFFETTIVO / PIL POTENZIALE, finalizzato a portare al massimo il pieno impiego dei fattori della produzione in tutti i paesi dell’Unione e decongestionando gli squilibri sistemici. Operare nell’economia reale e non sui meccanismi ordo-liberistici è la differenza tra monetarismo e socialismo.
RENATO COSTANZO GATTI