L’interessantissimo intervento del prof. Nino Galloni all’assemblea del Risorgimento socialista del 28 novembre è stato apprezzato dai presenti per la sua chiarezza e incisività. Le frasi che più hanno colpito sono state quelle relative:

  1. agli Stati Uniti d’Europa che lo farebbero rabbrividire e
  2. sull’uscita dall’euro ovvero con l’utilizzo di una moneta locale per i consumi interni.

Le sue affermazioni configgono con il mio intervento in cui affermavo che gli Stati Uniti d’Europa non mi fanno rabbrividire e con la scelta di puntare ad una revisione dei trattati piuttosto che puntare all’uscita dall’euro.

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Sugli Stati Uniti

Vediamo il primo punto, la mia affermazione circa la scelta degli Stati Uniti d’Europa, poteva, e faccio ammenda, essere più precisa: dovevo dire Stati Uniti d’Europa socialista. Ed in effetti nelle mie argomentazioni citavano, appoggiandole, le posizioni di Yanis Varoufakis che affermano la necessità di democratizzare l’Europa. Non solo ma sostenendo l’applicazione della “golden rule” del socialista Delors, davo anche l’indicazione di una delle prime regole per la cui applicazione lottare congiuntamente con tutti i partiti socialisti d’Europa.

Ma il prof. Galloni , che è intellettualmente onesto, nel suo inserto “IL TRASLOCO DELL’EURO” spiega, come meglio è difficile, la strada che io indico per l’Europa. Scrive infatti a pag. 46 “Un ulteriore percorso ragionativo riguarda una ricerca di convergenza tra i paesi dell’euro, capace di realizzare anche coesione e sostenibilità (…). I parametri di convergenza meramente finanziari ed arbitrari (stupidi li definì Prodi. Nota mia) , formalmente ed apparentemente uguali per tutti, si sono rivelati inattuali rispetto a situazioni di crisi economica prolungata, favorevoli al peggioramento delle situazioni nei paesi più deboli, necessitanti politiche di compensazione dei danni così apportati. Al contrario (e qui sta il punto. Nota mia) parametri di convergenza che attribuissero agli stati o alle regioni spese in disavanzo proporzionate al potenziale di sviluppo delle singole economie, misurato dal combinarsi di disoccupati disponibili e occupabili con tecnologie adeguate, renderebbero più solide le relazioni interne all’area euro (…).”

In sintesi non un adeguamento ai tempi dei parametri (come anche sosteneva Craxi quando prevedeva un disastro per l’Europa), ma un mutamento del tipo di parametri su cui parametrare gli interventi: ovvero invece di basarsi sulle performances monetario-finanziarie, basarsi sui parametri dell’economia reale.

In tal modo il gettito fiscale finanzia con la imposizione le spese correnti e di funzionamento, mentre il budget europeo “autorizzerebbe le risorse aggiuntive per lo sviluppo”. Ho messo in corsivo e tra virgolette l’ultima parte della frase perché l’ho ripresa para para dall’inserto del prof. Galloni. Su questo punto infatti mi distinguo dal professore, l’Europa non deve autorizzare, ma farsi ente programmatore degli interventi per far convergere i parametri dell’economia reale dei vari paesi.

Stati Uniti d’Europa socialista quindi che seguendo le indicazioni di Mariana Mazzucato vedano uno Stato innovatore che investe con quella visione a lungo termine che è negata dal capitalismo finanziario che vive sul profitto immediato.

Sull’Euro

A pagina 1 del suo inserto il prof. Galloni indica come peccato originario dell’euro quello di “aver determinato o, comunque di essere stato determinato in un’area economico produttiva/valutaria non ottimale (…) Quando ci sono squilibri e ritardi, le strade possibili e non alternative tra loro (meglio se complementari) sono tre:

  1. Il credito facile o meglio facilitato in modo che i privati possano realizzare i loro progetti;
  2. La spesa pubblica qualificata con indebitamento dello stato e increditamento dei privati (…) oppure con emissione di nuova base monetaria senza debito;
  3. La svalutazione del cambio della moneta nazionale che consente di esportare più facilmente (…) ovvero incrementando l’onere delle importazioni consente di sostituirle (…).”

 

Esaminiamo dapprima le tre strade possibili:

  1. La strada dell’allargamento del credito facile o facilitato significa che generando fondi a disposizione dei privati affinchè questi realizzino i loro progetti investendo, creando così occupazione e di conseguenza incrementando i consumi è una strada che la meritoria azione di Draghi con i suoi molteplici (falliti) tentativi di creare liquidità con 4 diverse modalità, ha dimostrato essere sterile. La trappola della liquidità non ha permesso che i vari Q.E. defluissero fino alle famiglie e/o alle imprese. Inutilmente si cerca di sollecitare la domanda aggregata e ci si scontra con quel principio che afferma che la liquidità che non circola non è liquidità. Con associato il pericolo che l’eccesso di liquidità presso gli enti finanziari (dove non vige la scissione tra banche commerciali e banche speculative) possa ricercare investimenti nelle attività finanziarie anziché produttive creando i presupposti di una nuova enorme deleteria bolla speculativa, destino inevitabile di questa fase di capitalismo.

   La soluzione ha, a mio modo di vedere, lo stesso approccio che aveva Keynes quando  nel capitolo 24 della sua Teoria generale,  sosteneva che “Se lo stato è in grado di determinare l’ammontare complessivo delle risorse destinate ad accrescere i mezzi di produzione  e il tasso base di remunerazione per coloro che le posseggono, esso avrà compiuto tutto quanto è necessario”  e poco prima “non si vede nessuna necessità di un sistema di socialismo di stato che abbracci la maggior parte della vita economica della collettività. Non è importante che lo stato si assuma la proprietà dei mezzi di produzione.”

    In sintesi l’opzione di affidarsi al mercato non dà alcuna garanzia che la politica di convergenza dei parametri dell’economia reale possa essere perseguita. Occorre una regia programmatoria senza la quale ogni sforzo potrebbe essere vano.

  1. È la strada che prediligo senza pronunciarmi sulla scelta tra indebitamento e creazione di nuova base monetaria. La prediligo con una grossa sottolineatura del termine “spesa pubblica qualificata”, ovvero tenendo presente una rigida e severissima distinzione tra spesa corrente e spesa per investimenti, l’unica questa, che, se si salva dalla corruzione e dall’inefficienza o ignoranza, può essere alla base del recupero del ritardo caratterizzante le aree non economicamente-produttivamente/ valutariamente ottimali. Ma su questo tornerò più avanti.
  2. A pagina 6 del suo inserto, il prof. Galloni definisce la svalutazione della moneta nazionale come “un escamotage”. Aggiungerei un escamotage dannoso. Infatti anche se nel breve periodo la svalutazione favorisce le esportazioni e sposta (a causa dell’aumentato prezzo dei beni d’importazione) la domanda sui prodotti interni di quei beni di importazione che si possono sostituire. L’escamotage consiste nel cambiare l’unità di misura di un bene che di per sé non è competitivo. Se un bene non è concorrenziale perche il suo contenuto produttivo, il costo dei fattori totali della produzione è superiore ad un bene estero, furbescamente si cambia il metro del cambio ed improvvisamente quel bene diventa competitivo anche all’estero. Ciò significa che si sono diminuiti i compensi di tutti i fattori della produzione, ma il modo di produrre, il contenuto tecnologico del bene rimane sempre arretrato rispetto a quello di un bene estero. In sintesi si abbassano i compensi dei fattori produttivi svalutabili, ovvero i salari: la svalutazione è un abbassamento reale dei salari anche se essi nominalmente rimangono gli stessi. Ma quel che è peggio è il fatto che diminuendo il costo del lavoro, l’imprenditore è stimolato a rinviare gli investimenti in quella tecnologia di cui al contrario necessiterebbe. Dopo pochi anni i paesi esteri che innovano e investono in tecnologia diventeranno ancor più competitivi distanziando ulteriormente il gap tecnologico, il modo di produrre e condannando il paese ad ulteriore peggioramento.

Ma la mia obiezione più sostanziosa sta nell’indicare, da parte del prof. Galloni, come possibili le sole tre alternative indicate. Le soluzioni prospettate viaggiano nella sfera dei provvedimenti monetari/finanziari (credito, spesa pubblica, creazione di moneta, svalutazione della moneta), così come di natura monetario/finanziaria si parla quando si prospetta la emissione di “moneta fiduciaria ovvero effetti – buoni acquisto, voucher, certificato di credito erariali”.

A questo proposito il prof. Galloni prende in considerazione i CCF, i certificati di credito fiscale che Stefano Sylos Labini  con lodevole capacità, ci sta proponendo nei suoi articoli e post. Sono definiti “macchinosi” ma a mio parere altrettanto efficaci nel fornire liquidità senza creare debito. Le mie riserve, e Stefano lo sa, sono nell’impiego della liquidità creata che non può essere lasciata al mercato perché esso trovi la soluzione, ma deve andare finanziare le commesse pubbliche promosse dallo stato per investimenti infrastrutturali, ponendo come condizione l’accettazione dell’appaltatore del pagamento in CCF.

La soluzione consiste soprattutto nella ricerca di una maggior competitività tramite la maggior produttività del nostro sistema Italia. Ancor ieri l’esame della legge di stabilità da parte dei ragionieri di Bruxelles, denunciava oltre all’alto debito, la decrescente produttività (mentre altrove cresce). Se non riusciamo a produrre con quel contenuto tecnologico adeguato ai tempi (Marx diceva che il valore delle merci dipende  dal lavoro che direttamente o indirettamente è stato impiegato per produrle: essa sarebbe oggettivo in quanto il lavoro impiegato per produrre una merce dipende dalle tecniche di produzione adottate, e queste in ogni dato momento sono date. Ma Schumpeter indica nella non datezza delle tecniche produttive quella “distruzione creatrice” che è alla base dell’economia attuale) se non innoviamo, se non facciamo ricerca e affrontiamo l’attuale fase di INDUSTRIA 4.0,  siamo destinati a vederci relegati ai margini.

Se i Top 5 nella brevettazione nei campi della meccatronica, robotica, produzione aggiuntiva, nanotecnologia sono imprese giapponesi, statunitensi, sud coreane o tedesche e non appare nessuna impresa italiana, ciò avrà pur un significato. Se l’Agenda-Italia è da secoli che deve essere attuata  e ancora langue, se gli investimenti decrescono, se la produttività scende ma quale ottimismo possiamo avere per il nostro futuro? Cresce la fiducia (mangeremo pane e fiducia) ma scendono produzione e ordinativi.

Insomma le vie d’uscita indicate dal prof. Galloni non sono a mio parere le vie d’uscita primarie ma sono funzionali (insieme ai CCF di Sylos Labini) a creare le premesse finanziarie alla soluzione primaria che a mio parere si trova solo nella ricerca di una adeguata produttività.

Ciò comporta un nuovo modo di lavorare, un nuovo modo di relazioni industriali, che aumenti la PARTECIPAZIONE  e responsabilizzazione del mondo del lavoro, sia nella scelta degli obiettivi, che nella scelta dei modi di organizzare il lavoro, che nella scelta degli investimenti (quantum e qualità). In questo si inquadra anche l’accettazione della sfida di Poletti sul legare i salari ai risultati, travolgendone l’approccio top-down (l’imprenditore fissa obiettivi , modi di produzione e qualità degli investimenti; il capitale fissa il quantum di investimenti) in un approccio partecipativo capace di gestire la lean production e l’industria 4.0. Le cooperative sarebbero l’ambiente ideale per sperimentare questo modo di produrre; ma saranno le cooperative e i sindacati all’altezza della sfida?

RENATO COSTANZO GATTI

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