Se vogliamo essere presi in considerazione come Sinistra, dobbiamo vincere e possibilmente presto, in qualche importante appuntamento.

fassina civati

Sta crescendo il numero degli antipatizzanti di Renzi. Ma ciò non comporta necessariamente una sua prossima caduta. E soprattutto la possibilità di avere, a quel punto, la presenza di una sinistra degna di questo nome.

Qui e ora, al declino del renzismo ( il Pd è tornato su livelli tra il 30 e il 35%) corrisponde una crescita delle astensioni ( tra il 40 e il 50%) e dell’opposizione, diciamo così, antisistema ( Grillo al 25%, Salvini tra il 15 e il 20%); mentre la sinistra di opposizione stenta a superare il 5%.  Per Renzi, un’assicurazione sulla vita: gli italiani odiano e disprezzano il “sistema” tutti i giorni della settimana; ma non fino al punto di portare al governo, con il loro voto domenicale, le forze antisistema.

La nostra persistente debolezza politico-elettorale è dunque un problema. Lo è per noi. Ma lo è anche per il paese. Da una parte lo squallore renziano; dall’altra il M5S che non ha ancora deciso cosa farà da grande; e, a decidere al ballottaggio, la destra diversamente cialtrona. Per l’Italia e per la sinistra non è proprio il massimo della vita.

 La nostra debolezza è quasi tutta dal lato dell’offerta. Molti soffrono per quel susseguirsi di inefficienze e di ingiustizie che segna la storia della seconda repubblica; ma, anche perché complici di quel processo, non siamo in grado di chiarirne la sostanza; lasciando così campo libero ai semplificatori, se non ai ciarlatani.

Abbiamo il proliferare della contestazione e delle proposte; ma non sappiamo come trasformarle in un’energia e in un sentire comune.

Si dirà che tutto ciò dipende dalle nostre divisioni. E, segnatamente, dal fatto che gran parte delle nostre forze continuano a operare all’interno del Pd.

Una scelta bersagliata da critiche e da facili ironie. Ma che ha pur tuttavia una sua razionalità. Almeno per chi crede che Renzi non sia né il genio dell’Appennino né un rullo compressore ma piuttosto un’anomalia alimentata da facili successi e dal servilismo dei media e destinata a sgonfiarsi davanti alla prima vera contrarietà.

Per molti di noi, naturalmente, Renzi non è affatto un’anomalia. Ma piuttosto la manifestazione suprema, ad un tempo più superficiale e più muscolare, della cultura politica della seconda repubblica: e cioè di una cultura politica di destra.

Ma, se le cose stanno così, diventa urgente, qui e oggi, la costruzione di una cultura politica alternativa al renzismo e di uno schieramento che la rappresenti. E qui non ci siamo proprio. O, se preferite, non ci siamo ancora.

Per “esserci”ci sono almeno quattro passaggi da affrontare:

1.       La questione del Leader;

2.       la questione dell’Evento;

3.       la questione del Minimo comun denominatore;

4.       infine, quella della Rete unificante.

Sul primo punto, solo alcune indicazioni di metodo. Se cerchiamo un leader in termini di potere ( vedi automatica candidatura a capo di governo, con gli “annessi e connessi”) non lo troveremo mai. Se cerchiamo, invece, una persona dotata di carisma, capace di dare vita alle nostre speranze , allora, prima o poi, la cosa verrà da sé.

In quanto all’Evento, ha perfettamente ragione Civati. Da buon pannelliano di sinistra ha perfettamente capito che il nostro problema non è quello di razionalizzare e mettere in bella copia la nostra opposizione al renzismo ma piuttosto quella di sconfiggere Renzi in campo aperto e su di un problema specifico. Non si possono fare i referendum? E allora si faccia qualcos’altro: facendo bocciare una sua legge elettorale, bloccando le trivellazioni, facendo saltare dall’interno lo scandalo delle aree metropolitane, sfruttando l’appuntamento delle prossime amministrative. Se vogliamo essere presi in considerazione, dobbiamo vincere e possibilmente presto, in qualche importante appuntamento.

Stare all’opposizione, e qui passiamo al terzo punto, ci deve consentire di ripartire da zero. Il nostro è, insieme, un campo di rovine e un campo aperto.  A chi è vissuto nell’ideale socialista o comunista il diritto-dovere di ricostruire la propria casa secondo questo ideale. Alla grande collettività di cui si farà parte il diritto-dovere di ricostruire, con strumenti nuovi, una città diversa dal passato. Con due vincoli collettivi: il primo è quello di risollevare “la bandiera del riformismo dal fango in cui l’hanno fatta cadere i suoi falsi cultori”( a partire dallo stesso Renzi…). Il secondo è quello di trovare un terreno di identificazione comune e, nel contempo, un discrimine netto rispetto ai nostri avversari: in ambedue i casi la questione della democrazia. Il capitalismo globalizzatore, i suoi corifei europei e italiani, vogliono cancellarla dal nostro  orizzonte di riferimento, noi vogliamo non solo difenderla ma riscoprirne il significato e il valore.

Da ultimo, la Rete. A gennaio, a conclusione del convegno di Sel, Human factor, era stata creata una struttura destinata a “coordinare le varie iniziative” eccetera eccetera eccetera. Non se n’è saputo più niente. E non perché siano mancate le iniziative; ma perché una qualsiasi struttura di vertice e/o accozzaglia di sigle non aveva alcun titolo per coordinarle. Al punto che non si è riunita una volta che è una. Logico che fosse così. Perché la sinistra di opposizione non potrà mai nascere da accordi di vertice tra questo o quel personaggio, con corredo di sigle varie.

Perché non pensare, allora, ad un processo costruito dal basso. Tante iniziative, tanti comitati promotori. Ma un unico punto di riferimento:  diciamo l’”Alleanza per la democrazia”.

ALBERTO BENZONI

 

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